giovedì 31 luglio 2014






GARIBALDI FU FERITO...
(PAZIENTI ILLUSTRI)


Negli ultimi anni della sua vita (morì all'età di 75 anni), Garibaldi era quasi completamente irrigidito, e poteva a malapena reggersi sulle grucce. Il suo medico e amico dottor Riboli esaminò la salma. Molte, e molto gravi, erano le lesioni dovute all'artrite deformante. Le dita delle mani erano rattrapite e contorte. Le ginocchia molto ingrossate, da tempo non si piegavano; le dita dei piedi erano storte e accavallate le une sulle altre, la pelle gialla e coriacea, e ulcerata in più punti.  Le vertebre cervicali, anchilosate, non consentivano al collo di piegarsi. Le febbri reumatiche contratte in America  avevano assalito ripetutamente Garibaldi lungo tutto il corso della sua vita, sino a provocare queste deformazioni che furono tra le cause principali della morte.

Un'altra delle cose che Riboli descrisse fu la presenza di sette cicatrici di ferite importanti. Di alcune non se ne conosceva l'origine, ed erano probabilmente risalenti alle avventure americane. La più profonda era la cicatrice della ferita riportata ad Apromonte, in vicinanza del malleolo interno del piede destro, a margini irregolari, e cagione per il generale di acuti e frequenti dolori che lo infastidirono tutta la vita.
Garibaldi, al grido di ''Roma o morte!'' era partito dalla Sicilia per liberare Roma dal dominio pontificio. Aveva con sè qualche migliaio di volontari male armati. Il governo italiano, onde evitare complicazioni, decise di fermarlo utilizzando le truppe destinate alla lotta contro il brigantaggio. Lo scontro avvenne appunto all'Aspromonte, in Calabria, il 29 agosto 1862. Non appena fu colpito (prima di striscio alla coscia, poi al piede) Garibaldi non fu più in grado di combattere e fu trascinato nel bosco.



Lo studente di medicina Enrico Cairoli, controllò la ferita e vedendola a bordi netti in prossimità dell'articolazione tibio tarsica, si avvide che, in corrispondenza sul lato esterno dell'arto, vi era una tumefazione. Pensò che potesse trattarsi del proiettile ritenuto. Venne inciso il gonfiore, che scomparve subito senza rivelare alcuna pallottola. Lo studente di medicina fu liquidato, e si sentenziò che trattavasi di proiettile di rimbalzo, entrato e poi uscito dal medesimo lato. Lo scontro era finito, i Garibaldini sconfitti, e il generale, con un sigaro in bocca, fu trasportato a braccia coricato su un cappotto legato a dei rami. Invece di lasciarlo in un ospedale, a Reggio o a Messina, lo si caricò su una nave, e lo si sbarcò all'odierna La Spezia. Il medico di bordo dichiarò subito che il proiettile era ancora dentro la ferita, i medici garibaldini risposero che il ferito se lo sarebbero gestiti da solo. Garibaldi aveva la febbre, e anche una riacutizzazione dei dolori reumatici di cui da sempre soffriva. Più ovviamente i dolori alla ferita. Per i dolori reumatici gli somministrarono solfato di chinino, in ragione di 2-3gr al giorno, ottenendo buoni risultati.
In ottobre ottenne l'amnistia. Ci fu un consulto fra medici (numerosi!) i quali lasciarono trascorrere ancora un altro mese facendo a gara per non capirci niente, alcuni affermando che il proiettile fosse ancora dentro, altri convinti del contrario. Ogni tanto durante le medicazioni fuoriuscivano dalla ferita dei frustolini d'osso, segno di un'osteomielite che, in era pre antibiotici, era di difficilissima guarigione.
A fine ottobre venne chiamato da Parigi il celebre chirurgo Auguste Nélaton (quello del catetere di Nélaton), che oltre al celebre catetere aveva inventato una sonda con in cima un bottone di porcellana, che a contatto col piombo si tingeva di nero. Nélaton ritenne che la pallottola fosse a circa 3cm di profondità, e fece zaffare la ferita con una spugna per allargarla, in modo da poter poi raggiungere il proiettile con più facilità.  Venne intanto trasportato a Pisa. I medici al suo capezzale erano a quel punto circa 20. Il 23 novembre, durante il cambio della medicazione con la spugna consigliata da Nélaton, fuoriuscì una scheggia d'osso di circa 1cm. Finalmente tutto divenne chiaro: quella scheggia aveva costituito l'ostacolo che impediva di localizzare  il proiettile. La pallina della sonda di Nélaton, introdotta nella ferita, si tinse di nero e il professor Zannetti, con una pinza ad anelli,  potè asportare un proiettile di carabina.






Il sangue fuoriuscito durante l'intervento, fu raccolto dal Professor Zannetti e inviato al famoso dottor Marini, il ''pietrificatore'', che lo trasformò secondo i suoi metodi, in due medaglie: una fu donata a Garibaldi, e l'altra al Museo Civico di Cagliari.
Il generale potè riprendere a camminare (sia pure zoppiccando), solo dopo diversi mesi.

Giuseppe Garibaldi aveva lasciato particolareggiatissime disposizioni riguardo alla sua morte: voleva essere bruciato (non cremato) all'aria aperta su una catasta di rami d'acacia, lentisco e mirto della sua Caprera, e la cenere voleva che fosse posta sulle tombe di Anita e della piccola Rosita. Nulla di tutto ciò fu fatto: i patrioti volevano una tomba su cui piangere, e tutti i suoi desideri furono disattesi.
FINE

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